sabato 1 dicembre 2007

An Insolent Noise

Breve resoconto del festival "An Insolent Noise", svoltosi a Pisa dal 29 novembre al 2 dicembre 2007. L'intenzione degli organizzatori era verificare fino a che punto il jazz può essere ancora oggi una musica di rottura. Il mezzo è stato allestire un cartellone con artisti piuttosto eterogenei come età, provenienza e approccio, ma accomunati dal possedere spiccate individualità. Inoltre, non a caso si è scelto di chiamare alcuni musicisti che accostano il jazz all'elettronica, come presa d'atto del potenziale di uno dei vari crossover che si sono tentati di recente in ambito jazzistico. Dico subito che mi sono perso la serata del 29 con Elio Martusciello. 30 novembre. La serata prevede due gruppi italiani: Paolo Sorge and the Jazz Waiters e Gallo and the Roosters. Entrambi fanno parte di collettivi più ampi ciascuno dei quali ha come riferimento una etichetta (www.impovvisatoreinvolontario.com e www.elgallorojorecords.com). Entrambi i concerti sono stati di notevole spessore. I primi hanno un approccio piuttosto canonico, sia come composizione dell'ensemble (chitarra-contrabbasso-batteria-trombone), che come struttura dei pezzi. Ciò nonostante riescono frequentemente a sorprendere "sporcando" le loro composizioni con la batteria di Francesco Cusa (ottimo) o il trombone di Tony Cattano (entrambi membri dei più atipici Skruch). I secondi invece pescano in abbondanza da tematiche rock, ricordando a tratti gruppi assai diversi come i Morphine o i Secret Chief 3 (ma non così orientaleggianti). Anche in questo caso è molto apprezzabile una certa sana sfrontatezza che permette di impostare serenamente brani alla "Peter Gunn Theme" o di piazzare intervalli free in pseudo-colonne sonore di spy movies (questo mi ha fatto venire in mente l'approccio del Morricone di "Crime and Dissonance"). In entrambi i casi freschezza, tanta attitudine, poca riverenza e, il che non guasta, una giusta dose di ironia. 1 dicembre. Primo a salire sul palco è l'Indigo Trio, ovvero Nicole Mitchell al flauto, Hamid Drake alla batteria e Harrison Bankhead al contrabbasso, che ci trasporta immediatamente in Africa, nei grandi spazi evocati soprattutto dal flauto della Mitchell. Rispetto ad altri contesti, Drake rimane maggiormente nelle retrovie lavorando molto sui piatti, lasciando la conduzione alla Mitchell e molto spazio a Bankhead, che tratta in modo molto "fisico" il suo strumento. L'improvvisazione può essere assimilata ad una partita di baseball: apparentemente non succede nulla per lunghi tratti, poi si creano istanti di grande azione e, nel caso della musica e se i musicisti ne sono capaci, magia. Questo concerto (nel complesso eccellente) ne è una conferma. Seguono i Trapist, trio austriaco che porta in tutt'altra dimensione. Trapist è un gruppo di improvvisazione, che svecchia concetti già elaborati in passato, ad esempio, dal Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (per l'uso della "sezione ritmica", batteria e contrabbasso, e dei rumori), unendoli ad una sensibilità post-rock (vedi il ruolo della chitarra, che può ricordare gruppi come i June of '44 (grazie Gabriele)). Nel complesso un concerto piuttosto ostico, forse un tantino prolisso, che ha il merito comunque di fare entrare prepotentemente il "noise" nella rassegna. 2 dicembre. Apre il trio di Pasquale Innarella, con un set basato su classici del free-jazz (Ayler, Braxton, ecc.). Prova piuttosto energica, che in un contesto del genere aiuta ad avere un punto di riferimento in un approccio che però appare ormai datato e piuttosto prevedibile. Finale di serata e di festival con gli Spring Heel Jack insieme a John Tchicai (72 anni). Ho una personale passione per gli SHJ, per la loro unica storia di duo elettronico/drum'n'bass che si reinventa come nucleo di formazioni che hanno via via incluso superstar dell'improvvisazione (Evan e William Parker, Matthew Shipp, e tanti altri). Il loro disco con Tchicai su Treader è una delle cose che mi sono piaciute di più di recente. Il concerto si apre proprio con uno dei pezzi del disco per proseguire in modo più "orchestrale" (stasera sono in sei). L'impressione è di qualcosa di non particolarmente nuovo, ma la materia in loro mani riesce comunque ad impressionare. Insomma, alla domanda da cui è partito il festival credo si possa rispondere in modo affermativo, anche se certamente non è solo nel jazz che oggi si può trovare inventiva, creatività e insolenza.

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