venerdì 14 dicembre 2007

Our Band Could Be Your Life - Michael Azerrad

Il sottotitolo è "Scenes from the American Indie Underground: 1981-1991". Il libro è consigliato a coloro per i quali nomi come Minutemen, Black Flag, Minor Threat, Fugazi, Dinosaur Jr hanno significato qualcosa. E' la storia di queste e di altre band. Il racconto è ben scritto, la cosa forse più sorprendente è vedere come questi musicisti per molti versi ormai leggendari fossero spesso e volentieri dei veri morti di fame, capaci di avere a volte un biscotto da dividersi nell'arco di una giornata. L'anno finale del periodo coperto non è casuale: è l'anno di uscita di "Nevermind", lo spartiacque. Azerrad osserva giustamente come l'ingresso delle major nel mondo indie abbia alterato fondamentalmente la struttura su cui era sempre vissuto, fatto di relazioni personali, passaparola, aiuto reciproco e tanto entusiasmo, sostituendo il tutto con rapporti tra band e etichette in cui il problema principale era fare i soldi. Questo ha fondamentalmente distrutto il processo creativo che era in corso. Ad ogni modo, lettura piacevole con qualche chicca, come l'"incontro" tra i Butthole Surfers e Jimmy Carter. 8/10

Nomeansno

Ho visto i Nomeansno la prima volta nel 1991 al Leoncavallo, al tempo del tour di 0+2=1. Ho questo strano ricordo di essere in coda per entrare con Lorenzo mentre gli dico che sto preparando matematica per l'economia e che non mi sembra molto difficile (lo dovrò ripetere tre volte prima di passarlo con un voto decente). L'ultima volta li ho visti a Rosignano (LI) nel 2005, in mezzo altre 5 volte di cui una a Londra. Ho sempre pensato che assomiglino ai Joy Division per l'uso di basso e batteria e che i testi abbiamo qualcosa di Leopardiano. Qualcuno sarà mai d'accordo?
It's been said before but I'll repeat it: don't you feel like you've been cheated? Enjoy.

mercoledì 5 dicembre 2007

Matematica e scienze, ecco le eccellenze E l'Italia piazza sei università al top

Dopo le recenti bocciature internazionali per l'università italiana è in arrivo un buona notizia. Il Centre for Higher Education development (CHE) con sede a Gütersloh, in Germania, ha elaborato il Ranking of excellent european graduate programmes in the Natural sciences and Mathematics 2007 (Classifica dei programmi europei di eccellenza per laureati in Scienze naturali e Matematica 2007). Insomma, una lista delle migliori facoltà (dipartimenti) europee per studiare Matematica, Fisica, Chimica e Biologia. E nella classifica (che prende in considerazione oltre 4 mila dipartimenti del Vecchio continente) l'Italia piazza "una eccellenza" in Matematica, una in Chimica e ben quattro in Fisica. Nessuna invece in Biologia.

Lo studio commissionato dal settimanale tedesco "Die Zeit" rappresenta per le facoltà scientifiche italiane una specie di rivincita dopo le batoste "inflitte" dal Times-QS. Negli ultimi 10 anni in Italia gli iscritti a Matematica, Fisica e Chimica sono calati e le relative facoltà sono entrate in crisi per carenza di studenti. I ragazzi delle scuole superiori, con ogni probabilità, sono stati attratti dalle novità nel campo dell'offerta formativa universitaria e hanno snobbato le facoltà scientifiche "di base". Solo di recente si intravede un'inversione di tendenza ma i numeri relativi alle immatricolazioni restano comunque bassi.

Dopo una rigida selezione il dipartimento di Matematica dell'università di Tor Vergata a Roma è risultata una delle 19 eccellenze, l'unica in Italia, presenti in Europa. Tor Vergata è in buona compagnia: Cambridge e Oxford, tanto per citare le più conosciute. A guidare il dipartimento è il professore Domenico Marinucci che punta sulla "forte internazionalizzazione e su un gruppo di docenti giovani che afferiscono alle facoltà di Scienze e Ingegneria. Questa interdisciplinarietà permette di coprire un vastissimo insieme di campi di ricerca". E non solo. "In particolare - continua Marinucci - quest'anno più della metà degli iscritti al dottorato è di provenienza estera, anche grazie al conseguimento di prestigiose borse di studio e le prospettive di lavoro per i laureati sono in aumento". Le più recenti indagini evidenziano che il 65 per cento dei laureati in Matematica trova una occupazione presso imprese private".

Il fronte delle eccellenze italiane non si limita all'ateneo della Capitale. Il dipartimento di Chimica dell'università di Bologna è tra i 25 considerati al top in Europa. Ma la soddisfazione maggiore per la formazione universitaria nostrana arriva nel campo della Fisica. Sono ben 4, sui 24 selezionati in Europa, i dipartimenti italiani nell'olimpo europeo: Firenze, Padova, Pisa e Roma (La Sapienza). Un vero record che viene sottolineato dagli stessi estensori della pubblicazione annuale.

Lo scopo dell'indagine è quello di fornire agli stessi atenei una misura della qualità dell'azione di ricerca portata avanti e ai potenziali utenti una guida per effettuare scelte oculate riguardo al proseguimento degli studi: master e dottorati di ricerca. I quattro parametri presi in considerazione sono: il numero delle pubblicazioni scientifiche relative al periodo 1997/2004, il numero di citazioni da parte degli altri atenei, la presenza di ricercatori al top (tra i 250 più citati in Europa) e l'utilizzo di fondi europei del programma Marie Curie, che favorisce la mobilità internazionale dei ricercatori con lo scopo di incrementare "lo sviluppo e il trasferimento delle competenze di ricerca, le prospettive di carriera, e la promozione di eccellenza in Europa".

Repubblica, 4 dicembre 2007

sabato 1 dicembre 2007

An Insolent Noise

Breve resoconto del festival "An Insolent Noise", svoltosi a Pisa dal 29 novembre al 2 dicembre 2007. L'intenzione degli organizzatori era verificare fino a che punto il jazz può essere ancora oggi una musica di rottura. Il mezzo è stato allestire un cartellone con artisti piuttosto eterogenei come età, provenienza e approccio, ma accomunati dal possedere spiccate individualità. Inoltre, non a caso si è scelto di chiamare alcuni musicisti che accostano il jazz all'elettronica, come presa d'atto del potenziale di uno dei vari crossover che si sono tentati di recente in ambito jazzistico. Dico subito che mi sono perso la serata del 29 con Elio Martusciello. 30 novembre. La serata prevede due gruppi italiani: Paolo Sorge and the Jazz Waiters e Gallo and the Roosters. Entrambi fanno parte di collettivi più ampi ciascuno dei quali ha come riferimento una etichetta (www.impovvisatoreinvolontario.com e www.elgallorojorecords.com). Entrambi i concerti sono stati di notevole spessore. I primi hanno un approccio piuttosto canonico, sia come composizione dell'ensemble (chitarra-contrabbasso-batteria-trombone), che come struttura dei pezzi. Ciò nonostante riescono frequentemente a sorprendere "sporcando" le loro composizioni con la batteria di Francesco Cusa (ottimo) o il trombone di Tony Cattano (entrambi membri dei più atipici Skruch). I secondi invece pescano in abbondanza da tematiche rock, ricordando a tratti gruppi assai diversi come i Morphine o i Secret Chief 3 (ma non così orientaleggianti). Anche in questo caso è molto apprezzabile una certa sana sfrontatezza che permette di impostare serenamente brani alla "Peter Gunn Theme" o di piazzare intervalli free in pseudo-colonne sonore di spy movies (questo mi ha fatto venire in mente l'approccio del Morricone di "Crime and Dissonance"). In entrambi i casi freschezza, tanta attitudine, poca riverenza e, il che non guasta, una giusta dose di ironia. 1 dicembre. Primo a salire sul palco è l'Indigo Trio, ovvero Nicole Mitchell al flauto, Hamid Drake alla batteria e Harrison Bankhead al contrabbasso, che ci trasporta immediatamente in Africa, nei grandi spazi evocati soprattutto dal flauto della Mitchell. Rispetto ad altri contesti, Drake rimane maggiormente nelle retrovie lavorando molto sui piatti, lasciando la conduzione alla Mitchell e molto spazio a Bankhead, che tratta in modo molto "fisico" il suo strumento. L'improvvisazione può essere assimilata ad una partita di baseball: apparentemente non succede nulla per lunghi tratti, poi si creano istanti di grande azione e, nel caso della musica e se i musicisti ne sono capaci, magia. Questo concerto (nel complesso eccellente) ne è una conferma. Seguono i Trapist, trio austriaco che porta in tutt'altra dimensione. Trapist è un gruppo di improvvisazione, che svecchia concetti già elaborati in passato, ad esempio, dal Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (per l'uso della "sezione ritmica", batteria e contrabbasso, e dei rumori), unendoli ad una sensibilità post-rock (vedi il ruolo della chitarra, che può ricordare gruppi come i June of '44 (grazie Gabriele)). Nel complesso un concerto piuttosto ostico, forse un tantino prolisso, che ha il merito comunque di fare entrare prepotentemente il "noise" nella rassegna. 2 dicembre. Apre il trio di Pasquale Innarella, con un set basato su classici del free-jazz (Ayler, Braxton, ecc.). Prova piuttosto energica, che in un contesto del genere aiuta ad avere un punto di riferimento in un approccio che però appare ormai datato e piuttosto prevedibile. Finale di serata e di festival con gli Spring Heel Jack insieme a John Tchicai (72 anni). Ho una personale passione per gli SHJ, per la loro unica storia di duo elettronico/drum'n'bass che si reinventa come nucleo di formazioni che hanno via via incluso superstar dell'improvvisazione (Evan e William Parker, Matthew Shipp, e tanti altri). Il loro disco con Tchicai su Treader è una delle cose che mi sono piaciute di più di recente. Il concerto si apre proprio con uno dei pezzi del disco per proseguire in modo più "orchestrale" (stasera sono in sei). L'impressione è di qualcosa di non particolarmente nuovo, ma la materia in loro mani riesce comunque ad impressionare. Insomma, alla domanda da cui è partito il festival credo si possa rispondere in modo affermativo, anche se certamente non è solo nel jazz che oggi si può trovare inventiva, creatività e insolenza.